Dall’Istituto Gemmologico Nazionale (IGN), il distretto IGI International Gemological Institute Italy di Roma, arriva un articolo di Flavio Butini su alcune gemme ricristallizzate analizzate in laboratorio.

Girando tra gli stand del padiglione 3 “Essence” della Fiera di Vicenza durante l’edizione di Gennaio 2019, ho avuto casualmente modo di posare lo sguardo su dei piccoli cartelli esposti nelle vetrine. Fungevano, evidentemente, da spiegazione e illustrazione delle gemme cui facevano da sfondo e, per efficacemente compiere il loro scopo, riportavano le scritte: “Natural recreated stones” e “Ricrystallized from natural rough” rispettivamente. I leaflet più rifiniti aggiungevano alcuni dettagli: “diamond coating”, “no oil or color added”, “no glass filling” e “Burma colour”!

Non ho potuto astenermi dall’entrare in uno di quegli stand per uscirne, cinque minuti dopo, con due gemme verdi, due rosse e altrettante blu.
Di seguito riporto una breve descrizione dei campioni e i relativi risultati gemmologici.

Peso: ct. 0.47 + 0.43
IR: 1.570 – 1.580
PS: 2.73 – 2.74
Identificazione: Berillo, varietà smeraldo

Peso: ct. 1.01 + 1.12
IR: 1.762 – 1.770
PS: 4.00 – 4.06
Identificazione: Corindone, varietà rubino

Peso: ct. 1.10 + 1.33
IR: 1.762 -1.770
PS: 4.05 – 4.07
Identificazione: Corindone, varietà zaffiro

Al microscopio gli smeraldi presentano numerose inclusioni colonnari isorientate parallele all’asse c, fratture a veli contorti, inclusioni cristalline a “chiodo” dovute a local blockage e fingerprints.

I rubini mostrano ampi veli contorti, fingerprints con residui disposti in brevi canalini chiari e a goccioline, brevi rim discoidali, inclusioni strutturali curvilinee e parallele (non semplici da vedere).

Gli zaffiri contengono bollicine gassose disposte in piccoli cluster o in ampi aggregati, bande di colore curvilinee e parallele.

La spettroscopia Raman, oltre a confermare la facile identificazione delle gemme, non ha evidenziato alcuna traccia del diamond coating indicato nei pannelli. Oltre a ciò tutti i campioni vengono facilmente graffiati con la punta al borazon, il che conferma l’assenza del misterioso rivestimento di diamante.

Sulla scorta delle sopracitate e ulteriori analisi che abbiamo svolto in laboratorio, è stato facile giungere all’identificazione delle gemme come: smeraldo sintetico (idrotermale), rubino sintetico (Verneuil) scaldato e con residui in fessure, zaffiro sintetico (Verneuil).

Ci appare però giusto segnare un punto a favore delle due aziende venditrici: nessuna traccia di oli colorati né di glass filling (e ci mancherebbe pure!).

La questione, laddove non si configuri un illecito commerciale, si sviluppa nel mondo delle nomenclature e delle normative nazionali ed europee che tracciano i dettami della corretta terminologia da usarsi in relazione ai materiali preziosi. Le normative cui mi riferisco sono la UNI 10245 e il Gemstone Book 2006-1 del CIBJO.

La prima come la seconda non prevede il termine “ricristallizzato” ma entrambe prevedono la terminologia o i termini “materiale gemmologico artificiale” (UNI art. 4.5), “minerale sintetico” (UNI art. 4.5.1), “artificial product” (CIBJO art. 5.39) e “synthetic stones” (CIBJO art. 5.44). I due enti prendono anche in considerazione materiali assemblati, denominandoli “reconstructed stones” (CIBJO art. 4.2.1) e “materiale gemmologico composito” (UNI art. 4.6), riferendosi a materiali quali ambra ricostituita, pasta di turchese, doppiette e triplette di opale, perle mabè, ecc.

In conclusione i pannelli esposti dai due Nostri sono assolutamente inesatti e fuorvianti, nonché volutamente illusori. Esorto tutti gli operatori del settore e ancor più gli allievi IGI a prendere atto del giusto linguaggio in vigore nel commercio delle pietre preziose e ad astenersi dal divulgare simili informazioni ingannevoli.

…sul “Burma color” nemmeno mi esprimo.

Flavio Butini

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